Robin Williams si è suicidato l’11 agosto 2014 a causa della depressione: dopo quasi 4 anni spunta un’altra verità sulla malattia che lo affliggeva e che non gli permetteva più di portare avanti la sua professione.
L’11 agosto 2014 gli appassionati di cinema (e non solo loro) sono rimasti scioccati dalla notizia della morte di Robin Williams, attore amatissimo per interpretazioni divertenti e toccanti come ad esempio quelle di Patch Adams e Mrs Doubtfire. La causa del decesso fu un suicidio, dovuto probabilmente dalla malattia che affliggeva l’attore già da diverso tempo. In effetti i medici parlarono di morbo di Parkinson, eppure a 4 anni di distanza dalla sua morte sono stati rivelati altri particolari sulla patologia che aveva cambiato inesorabilmente la mente e il corpo dell’artista. A quanto pare, infatti, ci fu una diagnosi completamente sbagliata.
Pochi mesi prima del suicidio, un esperto di neuropatologie gli aveva diagnosticato la demenza a corpi di Levy, una malattia simile all’Alzheimer. È con questo nemico che Robin Williams ha dovuto convivere negli ultimi anni della sua vita. La testimonianza di Cheri Minns, truccatrice del cast del film Una notte al museo, ha raccontato la sofferenza che ha caratterizzato l’ultimo periodo della vita dell’attore: “Faceva fatica a camminare, ma le condizioni peggiori riguardavano il suo stato mentale. Non riusciva a ricordare le battute ed era demoralizzato, piangeva spesso tra le mie braccia, era una situazione terribile”.
La depressione dell’artista derivava anche dall’impossibilità di ricordare le battute, di far ridere il pubblico così come aveva sempre fatto. All’esterno, Williams appariva ormai consumato: “Aveva un’andatura lenta e claudicante e a volte non riusciva a muoversi, ma la cosa peggiore era quando si bloccava perché parlando non riusciva a trovare le parole: si notava benissimo quanto fosse frustrante per lui”, ha dichiarato la moglie Susan. Probabilmente uno specialista avrebbe dovuto occuparsi del suo stato psicologico, anche perché lui era perfettamente lucido e conscio della propria condizione. Una condizione che gli esperti avevano erroneamente scambiato per Parkinson e che invece era qualcosa di molto più profondo. “È stato il miglior uomo che abbia conosciuto in tutta la mia vita”, afferma ancora la vedova.
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