A causare la morte improvvisa in soggetti sani, proprio come accaduto al calciatore Davide Astori, potrebbe essere stata la cosiddetta sindrome di Brugada: di che si tratta? È possibile diagnosticarla?
La sindrome di Brugada è una rara malattia del cuore che porta a morte improvvisa in individui spesso giovani e considerati sani. Essa è insita nel soggetto sin dall’infanzia, come dimostrato da persone che ne sono state colpite. Lo ha mostrato uno studio dell’Irccs Policlinico San Donato di Milano, pubblicato sulla rivista Journal of the American College of Cardiology e capace di descrivere per la prima volta l’anomalia elettrica alla base della fibrillazione ventricolare di questa sindrome. Le domande sull’argomento possono essere tante ma la questione più importante è senza dubbio legata alla diagnosi: è possibile accorgersi della malattia e prevenire il decesso?
La risposta purtroppo non è quella che si vorrebbe sentire: effettuare un elettrocardiogramma può non bastare poiché i sintomi che tendono a manifestarsi non sono sufficienti, da soli, a identificare i pazienti a rischio. Il primo vero inequivocabile sintomo può essere la stessa morte e, in circa i 2/3 dei casi, l’elettrocardiogramma appare completamente normale. Ciò che accade nel corpo dei pazienti è stato simulato e spiegato accuratamente dal dott. Carlo Pappone, direttore di Aritmologia presso lo stesso San Donato: si tratta di cellule dormienti che all’improvviso, durante la febbre o dopo un pasto abbondante o durante il sonno – proprio come nel caso di Astori – possono ‘esplodere’ generando la completa paralisi elettrica del cuore con conseguente arresto e morte improvvisa.
Ogni paziente manifesta anomalie di diverso tipo, quali ad esempio nella dimensione del substrato elettrico o nella compromissione dei canali del sodio delle cellule. Il sopracitato studio afferma che un’anomalia di soli 4 cm è sufficiente a causare il decesso improvviso. In poche parole l’anomalia è presente durante l’intera vita del soggetto, con conseguenze che possono manifestarsi in qualsiasi momento. Per arrivare a tali conclusioni i ricercatori hanno coinvolto sia pazienti sopravvissuti a un arresto cardiaco che pazienti con sintomi sfumati. Le conclusioni, per quanto valide, non sono però rassicuranti.
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