Superare un attacco cardiaco è più difficile per le donne piuttosto che per gli uomini: tutta colpa dei diversi trattamenti cui vengono sottoposte e che aumentano le possibilità di morire.
Un attacco cardiaco rappresenta una tappa critica per la vita del paziente ma le possibilità che non ci sia un lieto fine sono più frequenti per le donne piuttosto che per gli uomini. Ad affermarlo è una ricerca condotta dalla University of Leeds, Gran Bretagna, e dall’Istituto Karolinska di Stoccolma. In tutto sono stati coinvolti oltre 180mila individui, sia uomini che donne, tutti reduci da un infarto. I risultati, pubblicati sul Journal of the American Heart Association e diffuso on-line dalla Bbc Health, parlano chiaro: nell’anno successivo allinfarto le donne hanno un rischio 3 volte superiore di morire.
Il motivo è legato alla prescrizione delle terapie standard consigliate dalle più comuni linee guida, quali aspirinetta (-16 per cento) o farmaci contro il colesterolo alto (-24 per cento per le statine). Ma non finisce qui: lo studio britannico ha constatato che le donne hanno il 34 per cento di possibilità in meno di essere sottoposte a bypass e stent anche quando sarebbe davvero auspicabile il ricorso a questo tipo di interventi. Una discriminazione davvero inspiegabile visto che tali terapie sono ugualmente raccomandate sia per le donne che per gli uomini. La conclusione è stata stupefacente: se il gentil sesso ricevesse le stesse terapie degli uomini non ci sarebbe alcun gap nel tasso di mortalità post infarto.
Ad influenzare medici e addetti ai lavori, ipotizzano i ricercatori, è l’idea tipica del paziente colpito da infarto: un uomo di mezza età, in sovrappeso, fumatore e affetto da diabete. Chris Gale, tra i coordinatori del progetto, ha però riconosciuto che non esistono grosse differenze di genere: “Gli infarti riguardano un ampio spettro di popolazione, comprese le donne”, ha detto. Non resta che auspicarsi che tale quadro riequilibri la situazione.
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