Esiste lo stretching attivo, statico e posturale ma di solito gli esercizi si eseguono senza conoscere le caratteristiche dell’uno o dell’altro: tutte le differenze e i benefici specifici.
3 tipi: stretching attivo, statico e posturale
Lo stretching dovrebbe caratterizzare l’inizio e la fine di qualsiasi workout poiché serve a preparare il corpo allo sforzo e al tempo stesso lo aiuta nella fase conclusiva di defaticamento. Non esiste tuttavia un solo tipo di stretching visto che se ne possono distinguere almeno 3: si tratta dello stretching attivo, statico e posturale, ognuno caratterizzato da principi specifici e ovviamente benefici differenti. I nomi ne suggeriscono le peculiarità: lo stretching attivo implica il movimento e agisce sulla flessibilità più dinamica del muscolo, quello statico non comporta alcun moto e fa bene alla flessibilità rigida, quello posturale allunga le articolazioni e aiuta a ristabilire l’assetto fisiologico del corpo nella sua totalità.
Differenze e benefici
Lo stretching posturale può essere assimilato alla ginnastica posturale e consiste in una serie di allungamenti volti a migliorare la mobilità articolare, la postura e l’equilibrio. Praticato con costanza permette di eliminare dolori alle articolazioni e alla schiena, oltre ad alleviare problemi più seri quali scoliosi, lordosi, sofferenze al menisco e così via. Lo stretching diventa attivo quando si assume una posizione e la si mantiene usando solamente la forza dei muscoli agonisti (ovvero quei muscoli che si oppongono al movimento di cui sono responsabili diretti). Ne è un esempio l’esercizio nel quale si porta la gamba in alto senza bloccarla con nulla di diverso rispetto ai muscoli della stessa gamba. In questo modo si rilassano i muscoli allungati grazie al cosiddetto principio dell’inibizione. Il risultato sarà una maggiore flessibilità e un rafforzamento muscolare. Ogni posizione dev’essere tenuta per 10-15 secondi.
C’è stretching e stretching
Stretching passivo e stretching statico sono spesso usati come sinonimi sebbene esistano delle importanti differenze tra l’uno all’altro. Lo stretching passivo consiste nell’assumere una posizione e nel mantenerla con un’altra parte del corpo, con l’aiuto di un partner o con un attrezzo. Ripensando all’esempio fatto poc’anzi, lo stretching diventa passivo se la gamba portata in alto viene tenuta su con la mano o con i classici elastici. Esso si compone di movimenti lenti, utilissimi per alleviare spasmi muscolari e per aiutare la guarigione dopo un infortunio. Lo stretching passivo implica invece l’allungamento di un muscolo al suo punto più lontano per poi mantenere quella posizione. Resta il fatto che di solito la definizione che si cerca più di frequente è la prima, più generalista ed inclusiva.
LEGGI ANCHE: STRETCHING: METODI E CORRETTA ESECUZIONE
Photo credits Pinterest