Il 10 gennaio 2005 diventava operativo in Italia l’articolo 51 della Legge 3/2003 a tutela di chi non fuma, nei luoghi di lavoro e di svago, una legge che ha segnato una svolta culturale oltre che un progresso per la Salute pubblica. Gli Italiani hanno positivamente accolto la norma e il principio in esso contenuto: sono liberi di fumare, al di fuori di ogni proibizionismo, ma chi non fuma ha il diritto di tutelare la propria salute e di non essere esposto passivamente al fumo altrui. La legge ha anche sortito alcuni effetti benefici sulla salute, risultato non secondario la riduzione degli infarti acuti dell’11 – 13 per cento oltre ad un consenso popolare senza precedenti dell’88 per cento degli italiani.
Questo principio di parità di diritti è la chiave di volta che ha consentito di approvare una delle prime leggi in Europa e nel mondo (in Cina entrerà in vigore nell’estate del 2015) divenuta la bandiera di numerose associazioni non governative riunite nell’alleanza contro il tabacco, che uccide prematuramente 80.000 italiani ogni anno, con elevati costi umani, sanitari e sociali. “Vogliamo spiegare che l’uso del tabacco non fa parte della normale esistenza degli umani ma è un artefatto creato ad arte da chi trae lauti guadagni da una dipendenza del 20-25 per cento della popolazione” afferma Girolamo Sirchia, Presidente della Consulta sul Tabagismo e firmatario della legge.
Nel decennale della legge che ha rivoluzionato i costumi italiani vietando il fumo nei luoghi chiusi, il bilancio è positivo in termini di riduzione di consumi. Si parla perciò di estendere il divieto di fumo anche nei parchi pubblici, negli stadi, nelle spiagge attrezzate, sulle macchine con bambini a bordo o nei film e serie tv nazionali, se vengono accese sigarette in un numero eccessivo di scene. Dura la vita per i fumatori accaniti!
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