Si è parlato di diabete al congresso dell’American Heart Association, che ha visto riunirsi a Chicago i cardiologi di tutto il mondo. Gli esperti hanno sottolineato l’importanza di proteggere cuore e reni nei pazienti affetti da diabete. Ma come fare? Una possibile soluzione vede l’assunzione di un farmaco che ha proprio questi obiettivi. Tutto è partito dallo studio Declare, pubblicato sul New England Journal of Medicine. Esso è stato portato avanti per 5 anni in 33 Paesi, coinvolgendo oltre 17mila pazienti con diabete di tipo 2 ad alto rischio cardiovascolare o con già una malattia cardiovascolare in corso.
La molecola dapagliflozin
Oggetto dello studio la molecola dapagliflozin, un inibitore di Sglt2-2 in grado di bloccare il riassorbimento di glucosio e di sodio abbassando così la glicemia. Essa ha portato ad una riduzione significativa dell’ospedalizzazione per scompenso cardiaco e della morte per eventi cardiovascolari su molti pazienti. Ecco perché la scoperta non poteva passare sotto silenzio. “Questi risultati sono clinicamente rilevanti per i 3 milioni di pazienti che in Italia sono affetti da diabete di tipo 2 e che hanno un rischio da 2 a 5 volte più grande di scompenso cardiaco e malattia cardiovascolare rispetto ai soggetti non diabetici”, ha dichiarato con entusiasmo Stefano Del Prato, direttore dell’Unità Operativa di Malattie del Metabolismo e Diabetologia presso l’Ospedale Universitario di Pisa.
Apprezzamento per lo studio ‘Declare’
Gli ha fatto eco anche Andrea Giaccari, responsabile del Centro per le malattie endocrine e metaboliche del Policlinico Gemelli di Roma: “Lo studio Declare, oltre alla sicurezza cardiovascolare, ha dimostrato la significativa riduzione del rischio per scompenso cardiaco o morte cardiovascolare e un effetto nefro-protettivo in tutta la popolazione arruolata, anche nei pazienti in prevenzione primaria”, ha confermato con sicurezza. Il passo successivo sarà quello di riflettere sul modo migliore per somministrare il dapagliflozin ai pazienti che verranno presi in carico dalle singole strutture mediche.
Vietato demonizzare i carboidrati
L’alimentazione e il diabete sono legati con una corda a doppio filo. Gli esperti, supportati da numerosi studi, sono pronti a giurare che la patologia può avere esiti ben diversi a seconda di quali alimenti vengono consumati dal paziente. La dietista Martina Pusceddu ha affrontato l’argomento con il giornale on-line Cagliari Casteddu. A suo avviso il segreto per convivere serenamente con il diabete consiste nel cercare di appagare il palato evitando al tempo stesso problemi legati all’insulina. Tuttavia non è semplicissimo trovare il giusto compromesso tra gusto e salute. La raccomandazione principale della Pusceddu si è rivolta a pane, pasta e olio d’oliva. Quest’ultimo è un ottimo alleato contro i problemi cardiovascolari, mentre i carboidrati non devono affatto essere demonizzati. I carboidrati devono rappresentare sempre il 60 per cento del fabbisogno calorico quotidiano.
Diabete: come organizzare i pasti
Quando si parla di secondi piatti, più si varia e meglio è. La carne rossa (sulla quale l’Europa sta ipotizzando una tassa) va consumata solamente una volta settimana, in favore di quella bianca. Il pesce va mangiato 2 volte a settimana e nell’arco di 7 giorni bisogna dare spazio anche ai legumi con i fagioli che sono considerati dei veri superfood. Interessante il ruolo riservato ai dolci. Sollievo per il palato, essi sono però nemici della salute soprattutto per i diabetici. Colpa dei grassi saturi e degli zuccheri. Ecco perché vanno limitati. Va notato tuttavia che i dolci non devono essere eliminati del tutto, è sufficiente mangiarne in quantità ridotte non più di 2 volte a settimana.
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