Addio al test d’ingresso di medicina che ogni anno terrorizza migliaia di studenti. Quello del 2018 potrebbe essere stato l’ultimo a livello nazionale. Il Consiglio dei Ministri ha approvato il disegno di legge inerente il bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2019. Al suo interno si trovano diversi riferimenti al test di Medicina, l’unico che permette di accedere al corso di laurea magistrale a ciclo unico in Medicina e Chirurgia. Tra le principali novità a livello universitario c’è l’abolizione del numero chiuso, il che permetterebbe a tutti di potervi accedere. La notizia ha provocato reazioni immediate negli studenti, i quali hanno intavolato interessanti discussioni sulle possibili conseguenze (alcuni hanno persino fatto ricorso ad un gruppo Facebook nel quale confrontarsi). Il dubbio principale, ovviamente, è legato ai numeri: servono insegnanti e strutture adeguati. I mezzi messi attualmente a disposizione dalle università non sarebbero sufficienti a rispondere alle domande. I contro sono quindi più numerosi dei pro?
Certamente anche la questione scuola di specializzazione solleva non poche perplessità. I numeri del 2018 parlano chiaro: i posti erano 6934 mentre gli studenti che hanno tentato il test d’ingresso per il corso di laurea magistrale erano stati 60 mila. Solo i due terzi hanno raggiunto il punteggio minimo per entrare in graduatoria, ma cosa sarebbe successo senza l’ostacolo del numero chiuso? Un’altra precisazione riguarda un particolare della manovra: si parla di eliminare il test di medicina a livello nazionale, il che non significa per forza eliminarlo del tutto. Ciascun Ateneo potrebbe stabilire autonomamente il numero di posti disponibili e fissare un proprio test, proprio come accade in quasi tutti i corsi di laurea a numero chiuso locale. Il passaggio da scala nazionale a scala locale potrebbe essere la risposta al problema? Ciò che è certo è che ogni anno il test di medicina raccoglie polemiche, stress e accuse di irregolarità. Qualche modifica, quindi, è certamente auspicabile.
In occasione della sessione autunnale 2017 è stato proclamato uno sciopero generale in tutta Italia. 5444 tra docenti e ricercatori hanno messo in pericolo il regolare svolgimento dell’attività didattica, in particolare delle prove d’esame post-vacanze. Dopo 5 anni di blocco sugli scatti salariali, hanno deciso di prendere in mano la situazione e di far saltare il primo appello. Il malcontento generale si è diffuso tra docenti e non. Tutta colpa del blocco degli stipendi emanato dal governo Berlusconi negli anni 2011-2014: l’intenzione era quella di bloccare gli scatti di 3 milioni e mezzo di persone, facendo risparmiare alla spesa pubblica ben 3 miliardi di euro l’anno. Mentre per le altre categorie statali lo stipendio maturava gli scatti salariali, per i professori universitari tutto è restato immobile per oltre 5 anni. Per ricevere gli scatti maturati e l’adeguamento dello stipendio, i docenti hanno organizzato una protesta nata sul web grazie a Il Movimento per la Dignità della Docenza Universitaria (un’unione spontanea e promotrice dello sciopero). Il tutto ha causato lo slittamento della sessione autunnale che va dal 28 agosto al 31 settembre. Un segnale che certamente fa riflettere sullo stato di salute degli Atenei.
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