Salute

Car-T, in cosa consistono le prime terapie cellulari contro il tumore

È arrivato il via libera per le prime terapie cellulari ufficiali volte ad affrontare il tumore: quali sono, come funzionano e tutto quello che c’è da sapere.

Dopo l’ok dell’Agenzia europea per i medicinali (Ema) – arrivato circa 2 mesi dopo il parere positivo del Comitato per i medicinali per uso umano – partono in Europa le prime terapie cellulari Car-T contro il tumore. Si tratta di due farmaci che hanno la capacità di modificare geneticamente le cellule T dei pazienti: il primo è il tisagenlecleucel, rivolto principalmente al trattamento della leucemia linfoblastica acuta a cellule B e il linfoma diffuso a grandi cellule B, mentre il secondo è l’axicabtagene ciloleucel, anch’esso specifico per i pazienti adulti con linfoma diffuso a grandi cellule B e con linfoma primitivo del mediastino a grandi cellule B. Nomi che possono risultare ostici per chi ha la fortuna di stare bene ma che promettono un grosso balzo in avanti nel trattamento della malattia.

Queste terapie Car-T approvate sono state sviluppata da Novartis (per quanto riguarda tisagenlecleucel) e da Kite, poi acquisita da Gilead. Il primo è specifico per pazienti pediatrici e giovani adulti fino ai 25 anni d’età con leucemia linfoblastica acuta (LLA) a cellule B refrattaria, con particolare attenzione per i casi in cui la malattia sia progredita anche dopo il trapianto di midollo osseo; ad essi si aggiungono i pazienti adulti con linfoma diffuso a grandi cellule B (DLBCL). Il secondo farmaco è destinato invece ai pazienti adulti con linfoma diffuso a grandi cellule B (DLBCL) e con linfoma primitivo del mediastino a grandi cellule B (PMBCL), entrambi rivelatisi recidivanti o refrattari dopo due o più cicli di terapia sistemica.

Le terapie Car-T contano sull’efficacia di una sofisticata proteina ibrida sintetica creata in laboratorio e capace di attivare il linfocita T, ovvero uno dei componenti fondamentali del sistema immunitario umano, riconoscere il tumore e attaccarlo. La tecnica è piuttosto complessa: si isolano i globuli bianchi del paziente, si selezionano i linfociti T e si inserisce al loro interno il frammento di Dna che riuscirà a produrre la proteina ibrida Car. In questo modo i linfociti T diventeranno essi stessi dei ‘farmaci viventi’ potenzialmente capaci di riconoscere e attaccare il tumore. La terapia è una tantum.

Prima di fruirne restano da delineare alcuni dettagli di natura tecnica: i costi, i centri specializzati dai quali cominciare (in Italia proseguiranno le sperimentazioni in tre diverse strutture:l’Istituto nazionale dei tumori di Milano, la Clinica Pediatrica dell’Università di Milano-Bicocca e il centro di Oncoemtologia dell’Ospedale Bambino Gesù di Roma) e come distribuirli sui vari territori nazionali. Questioni di natura pratica che, ci si augura, non ruberanno troppo tempo ai malati.

Photo credits Facebook

Raffaella Mazzei

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Raffaella Mazzei

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