Il tumore al seno a volte non necessita di chemioterapia e un nuovo test è in grado di capire quali neoplasie rientrano in questa categoria: come funziona e perché evita la chemio a 3000 donne ogni anno.
Il 70 per cento dei tumori al seno può essere curato con terapie chemio-free, soprattutto se la neoplasia si trova ad uno stadio iniziale e se presenta determinate caratteristiche. Finora era complicato capire quali fossero le pazienti che rientravano in questa categoria ma la svolta arriva con l’introduzione di un test chiamato Tailor x, presentato al 54esimo Congresso Mondiale dell’American Society of clinical oncology (Asco). Si tratta di una vera svolta, visto che solo in Italia potrà evitare la chemio a 3000 donne ogni anno senza compromettere in alcun modo il buon esito della terapia.
Per definire il test sono state coinvolte 10.273 donne con la forma più comune della malattia, vale a dire con i recettori ormonali postivi e Her2-negativo. Come afferma il team di ricercatori che ha lavorato al progetto, questo studio “avrà un impatto immediato, risparmiando dopo l’intervento chirurgico, a migliaia di donne gli effetti collaterali della chemio”. Il test misura il rischio di recidiva a 10 anni prendendo in considerazione 21 geni diversi e divide le pazienti in 2 categorie seguendo un punteggio che va da 0 a 100: le donne con punteggio basso (0-10) dovrebbero ricevere solo ormonoterapia mentre per quelle con punteggio alto (26-100) dev’essere prevista sia l’ormonoterapia che la chemio.
Finora c’era però incertezza per il punteggio intermedio 11-25. Ci ha pensato il sopracitato studio, coordinato dal dott. Joseph Sparano, a fornire una risposta definitiva anche per quella fascia di pazienti. Per loro l’ormonoterapia non è affatto meno efficace della chemio. L’opinione è stata abbracciata e condivisa dagli esperti di tutto il mondo e, come affermato dal presidente Asco Bruce Johnson, “avrà un impatto su un larghissimo numero di persone e cambierà l’approccio dei medici”. L’unico problema resta il costo del test: si parla di ben 3000 euro ma le regioni stanno concordando con l’azienda un modo per ridurlo e renderlo accessibile a tutte le pazienti.
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