Una ricerca condotta dal Mit illustra i benefici di una sola giornata di digiuno: come fare per rigenerare le cellule staminali e migliorare la salute dell’intestino.
La dieta mima-digiuno del professor Valter Longo (per maggiori informazioni si rimanda al link in fondo alla pagina) ha già illustrato i benefici di alcuni periodi di astinenza dal cibo: si allunga la vita (si è registrato un prolungamento pari all’11%), si ringiovanisce il sistema immunitario e diminuisce l’incidenza di tumori, diabete e malattie cardiovascolari. Il Mit (Massachusetts Institute of Technology) ha voluto approfondire l’argomento dimostrando che 24 ore di digiuno aumentano la capacità rigenerativa delle cellule staminali, rivelandosi importante soprattutto per il buon funzionamento dell’intestino. Lo studio, pubblicato sulla rivista Cell Stem Cell, vede proprio nei momenti di digiuno il momento propizio per evitare l’insorgere di numerose patologie.
Le cellule staminali dell’intestino solitamente si rinnovano ogni 5 giorni, ma con il passare degli anni le capacità rigenerative diminuiscono e il corpo impiega più tempo a recuperare. Male, visto che si tratta di un processo necessario per mantenere il tessuto in salute e respingere eventuali malattie, tumori ed infezioni. Ciò che impone l’invecchiamento, tuttavia, può essere ostacolato proprio da questo digiuno forzato che può diventare a tutti gli effetti un modo per attivare l’interruttore metabolico e mantenere giovani le cellule staminali, rivelandosi fondamentale soprattutto nei soggetti anziani che si stanno riprendendo da infezioni gastrointestinali o nei pazienti oncologici.
La strada intrapresa dal Mit non è arrivata certamente come un fulmine a ciel sereno. Al contrario, essa si inserisce – come affermato dal biochimico Jared Rutter della University of Utah, non coinvolto nello studio – “in un ampio spettro di studi che tendono a dimostrare quanto peso la nutrizione e il metabolismo abbiano sul comportamento delle cellule e sulla predisposizione dell’essere umano alle malattie”. I ricercatori sono partiti dall’analisi di alcuni animali che, costretti a mangiare meno, vivevano di più. Replicare gli stessi risultati sull’uomo sarebbe decisamente auspicabile.
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