Si chiama CHIP, e secondo i risultati di alcune ricerche condotte negli Stati Uniti sarebbe una delle cause di ictus e infarto anche in persone giovani e apparentemente sane, o non predisposte alle malattie cardiovascolari.
Accade spesso, purtroppo, che anche pazienti con livelli normali di colesterolo e pressione sanguigna, non fumatori, non diabetici e senza alcuna familiarità con le malattie cardiovascolari vengano colpiti da infarto o ictus. Secondo un team di ricercatori statunitensi la causa sarebbe la mutazione di un gruppo di cellule staminali nel midollo osseo, detta in gergo medico “emopoiesi clonale di potenziale indeterminato”, e aumenterebbe i rischi di infarto e ictus del 40-50 per cento. Il CHIP (abbreviazione di Clonal Hematopoiesis of Indeterminate Potential) è risultato essere un fattore di rischio potente quanto l’alto livello di LDL o l’ipertensione, ma agisce indipendentemente da essi, e purtroppo non è raro. Gli studiosi sostengono che la probabilità di questa mutazione aumenti con il passare dell’età: la presenta fino al 20% delle persone di più di 60 anni e circa il 50% dei pazienti di 80 anni. Il Dr. Peter Libby, cardiologo presso Brigham and Women’s Hospital e professore di medicina presso la Harvard Medical School, in una lunga intervista al NY Times ha definito CHIP “la scoperta più importante in cardiologia dopo l’uso delle statine per abbassare il colesterolo”.
Tale scoperta è il risultato di diverse ricerche condotte da vari gruppi di ricercatori che lavoravano indipendentemente allo studio di varie malattie, come la leucemia o la schizofrenia. Consultando svariati database ottenuti da studi genetici su decine di migliaia di persone, i risultati dei diversi team hanno iniziato a convergere sullo stesso risultato quando i ricercatori hanno esaminato le cartelle cliniche di alcuni pazienti con mutazioni dei globuli bianchi. Ebbene, tali pazienti risultavano aver sviluppato un aumento del rischio di morire di infarto o ictus pari al 54% rispetto alle persone senza CHIP, rischio che aumentava addirittura di quattro volte in coloro che avevano già subito attacchi di cuore.
Il dottor Benjamin Ebert, presidente di oncologia medica presso il Dana-Farber Cancer Institute, che è stato il primo a vedere il collegamento tra presenza del CHIP e l’aumentato rischio di infarto, ritiene che il CHIP possa essere coinvolto in altre malattie infiammatorie come ad esempio l’artrite. Secondo gli esperti tali mutazioni sono acquisite, non ereditarie, e sono dovute probabilmente all’esposizione a tossine come il fumo di sigaretta e altri agenti inquinanti. I pazienti hanno poche possibilità di difendersi. Al momento i medici sconsigliano di sottopori a test per valutare la presenza di CHIP, in quanto non esiste nulla di specifico da fare per poterne contrastare l’insorgenza.
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