Salute

L’Alzheimer si trasmette via sangue? I ricercatori lanciano la bomba

L’Alzheimer è delle malattie neurogenerative più gravi e i ricercatori invitano a fare attenzione al sangue: una trasfusione può causare il contagio?

L’Alzheimer si trasmette via sangue? La domanda può sembrare assurda, eppure i ricercatori della University of British Columbia di Vancouver hanno condotto uno studio dagli esiti imprevedibili. Pubblicato poi sulla rivista Nature nella sezione Molecular Psychiatry, lo studio ha sganciato la bomba aprendo a questa possibilità. A quanto pare tutto è legato alla beta-amiloide, ovvero la proteina cardine nella patogenesi dell’Alzheimer. Negli animali la beta-amiloide può trasmettersi nel cervello degli animali sani, causando le alterazioni patologiche tipiche di questa malattia neurogenerativa anche nel loro cervello nel giro di pochi mesi. La sopracitata proteina viene prodotta direttamente nel cervello – così come in tessuti periferici – ed è proprio da lì che poi passa nella circolazione generale.

Tale consapevolezza ha fatto scaturire negli scienziati il sospetto che anche una trasfusione di sangue possa portare l’Alzheimer. Il professor Weihong Song, coordinatore del progetto, ha dichiarato che “è la prima volta che si dimostra che la proteina beta-amiloide penetra nel sangue e nel cervello da un altro topo e causa segni di Alzheimer”. Un altro studio, realizzato circa 12 mesi prima, aveva dimostrato il contrario: in Svezia e Danimarca, su un campione di 2,1 milioni di riceventi trasfusioni, nelle persone che avevano ricevuto sangue da donatori affetti dal morbo non si era evidenziato alcun aumento significativo del rischio di Alzheimer. Ciò non esclude, tuttavia, che possano verificarsi in futuro casi di malattia causati proprio dalle trasfusioni infettate dalla beta-amiloide.

In quel caso era stato coinvolto un campione molto ampio ma il lasso di tempo preso in considerazione potrebbe rivelarsi troppo breve, così l’intenzione è quella di eseguire un follow-up di 25 anni visto che molti ricercatori temono che si tratti di una proteina realmente infettiva. L’ipotesi ovviamente preoccupa, tuttavia vanno considerati due punti: prima di tutto il collegamento del sistema circolatorio nei topi non viene replicato al 100 per cento nelle persone, quindi è presto per trarre conclusioni certe. In secondo luogo, qualora l’infettività della proteina dovesse essere confermata, ciò aprirebbe la strada a nuove prospettive terapeutiche. Non resta che attendere.

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Raffaella Mazzei

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