La Johnson&Johnson deve sborsare un altro risarcimento milionario ad una donna che afferma di essersi ammalata di tumore a causa del “borotalco killer”. La multinazionale, tuttavia, ha già annunciato il ricorso.
I guai della Johnson&Johnson con il suo borotalco non sono finiti: per la quinta volta la nota multinazionale deve sborsare un risarcimento milionario ad una donna che afferma di essersi ammalata di tumore alle ovaie a causa del prodotto. In effetti non si tratta di un caso unico (il link in fondo all’articolo ripercorre la vicenda): dal 2016 ad oggi i processi conclusi sono stati 6 e solamente una volta il giudice ha optato per l’innocenza dell’azienda e del suo prodotto. La giuria di Los Angeles non è stata da meno e ha dato torto all’azienda: la Johnson&Johnson dovrà pagare 417 milioni di dollari (circa 350 milioni di euro) a una donna che ha usato per anni il prodotto e si è ammalata di cancro alle ovaie.
La multinazionale ha già annunciato il ricorso. Per sostenere la sua innocenza ha citato le dichiarazioni del National Cancer Institute, il quale non ha trovato alcuna connessione tra il prodotto e l’insorgere della malattia. Un portavoce ha dichiarato con fermezza che la società si lascia “guidare dalla scienza che ci assicura la sicurezza del nostro borotalco”, anche perché in caso contrario la vicenda assumerebbe una portata mondiale. Il prodotto viene venduto in tutto il mondo e utilizzato a qualsiasi età, dai neonati agli anziani.
Per scongiurare ogni rischio sono stati effettuati numerosi studi. Seppur nessuno sia definitivo, va detto che una correlazione tra la polvere e la malattia è emersa. I cristalli contenuti nel prodotto passano nel tratto urinario e genitale, arrivando così alla cavità peritoneale dove sono poste le ovaie. Ne consegue un’infiammazione dell’organo, considerata di fatto una causa del tumore a ovaie e utero (particolarmente insidiosi in quanto difficili da individuare). Nonostante l’Agenzia Internazionale di Ricerca sul Cancro ha inserito il borotalco tra le sostanze cancerogene già nel 2006, nessuna agenzia federale lo ha rimosso dal mercato. Il gesto incriminato è il suo utilizzo sui genitali femminili: la vicenda resta aperta ma la Johnson&Johnson può sentirsi tutt’altro che serena (come i suoi consumatori).
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