Il ddl sul testamento biologico ha passato indenne la prima fase dell’iter verso l’approvazione. Parlamento d’accordo sulla possibilità di interrompere le cure ma al medico resta il diritto di rifiutarsi e diventare obiettore.
Il Parlamento italiano ha cominciato a parlare di testamento biologico e fine-vita, tant’è che la proposta di legge ha superato il primo ostacolo (grazie ai voti favorevoli di Pd e Movimento 5 stelle) con l’approvazione dei primi due articoli. Ma cos’è cambiato esattamente? Con il primo articolo si restituisce al malato la possibilità di decidere del proprio fine-vita: l’idratazione e la nutrizione artificiale vengono equiparate a normali trattamenti sanitari che il malato può rifiutarsi di ricevere. Ciò non vuol dire abbandonare il malato ma accompagnarlo alla conclusione in maniera serena. Si introduce per questo la “sedazione palliativa profonda”, insieme alla terapia del dolore.
In poche parole, non ci sarà più alcun accanimento terapeutico nei confronti del malato: non ci si ostinerà più alla somministrazione delle cure ma si lascerà al paziente la massima libertà di scelta. Qualora il malato sia minorenne oppure incosciente, con il secondo articolo si autorizza un tutore legale oppure i parenti più stretti a prendere una decisione al suo posto. Il testo riconosce inoltre al medico il diritto di rifiutarsi di soddisfare le richieste del malato, creando così un’obiezione di coscienza indiretta (o “camuffata”, com’è stata definitiva dal M5S poco convinto da questo aspetto del ddl).
Per quanto riguarda le obiezioni etico-religiose, il Parlamento ha cercato di stroncare sul nascere ogni polemica. Nel testo di legge non viene riconosciuta alcuna differenza tra il trattamento ricevuto nelle strutture sanitarie pubbliche e private, impedendo agli ospedali cattolici di rifiutare i pazienti che abbiano già firmato un testamento biologico con l’interruzione delle terapie. Ovviamente ci sono altri temi da affrontare (tra cui gli obiettori di coscienza vera e propri) e numerosi scogli burocratici da superare, eppure il cuore del ddl sembra già essersi delineato: disciplinare anche in Italia l’accompagnamento del malato che abbia ricevuto una diagnosi infausta verso una conclusione senza dolore (grazie al diritto alle cure palliative) astenendosi da trattamenti inutili e irragionevoli.
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