Una protesi capace di rimpiazzare i fotorecettori degenerati può aiutare dei pazienti ciechi a recuperare la vista. I test sugli animali hanno dato esiti positivi, si passerà alla sperimentazione sull’uomo entro il 2017.
La rivista Nature Materials ha descritto nel dettaglio la prima retina artificiale realizzata da un team di ricercatori italiani dell’Istituto italiano di tecnologia (Iit) di Genova. Si tratta di una protesi capace di trasformare gli stimoli luminosi in impulsi elettrici destinati ai neuroni: questo permette un imponente recupero funzionale nei pazienti affetti da mutazioni nella retinite pigmentosa. Le sperimentazioni sugli animali hanno dato esiti estremamente positivi: la nuova retina artificiale resta efficace per 10 mesi (un tempo molto più lungo rispetto alle soluzioni attualmente disponibili) senza causare alcuna infiammazione dei tessuti o degradazione dei materiali che costituiscono la protesi.
La retina costruita in laboratorio contiene due strati di polimeri organici (un semiconduttore e un conduttore), ai quali spetta appunto il compito di trasformare gli stimoli luminosi nell’attivazione elettrica dei neuroni. Così facendo si riesce ad attivare anche la retina priva di fotorecettori, un incredibile risultato per molti malati cui purtroppo viene negata la possibilità di vedere. I vantaggi riscontrati in questa nuova tecnica sono la lunga durata, l’autonomia del funzionamento, l’elevata tollerabilità e l’assenza di dipendenze da sorgenti esterne di energia.
La notizia migliore, tuttavia, è un’altra: per passare ai test sull’uomo non si dovrà attendere molto. La prima sperimentazione è prevista per la seconda metà del 2017, per la gioia di tutti quei pazienti alla ricerca di una soluzione per le loro patologie retiniche (molte delle quali si rivelano profondamente invalidanti). La possibilità di ripristinare parzialmente la vista diventa così un obiettivo non solo possibile ma anche a portata di mano, segnando una svolta nel trattamento dei malati. In effetti esistono già dei metodi per aiutare i neuroni a recuperare la capacità fotorecettiva (basati su tecnologie al silicio) ma i vantaggi non sembrano paragonabili a quelli che si potrebbero raggiungere con questa protesi così altamente biocompatibile. Non resta che attendere qualche mese.
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