Mettersi una giacca a vento protegge dal freddo e mette al riparo da influenza e malanni di stagione, soprattutto quando si va in montagna? Certo, però l’allarme di Greenpeace porta a galla un pericolo ben più grande per l’ambiente…
Questa volta Greenpeace ha lanciato un allarme per proteggere le persone e non gli animali, un allarme più che mai concreto e che obbliga a correre subito ai ripari. A quanto pare nelle aree vicine agli impianti produttivi di alcuni composti chimici è presente un inquinamento diffuso dell’ambiente, inclusa la contaminazione delle falde di acqua potabile, e l’esposizione a queste sostanze tossiche aumenta il rischio di tumori. L’area contaminata si estende nel Nord Italia per 150 chilometri quadrati e abbraccia le province di Vicenza, Padova e Verona. Ciò significa, a conti fatti, che circa 350-400mila persone sono potenzialmente esposte al rischio contaminazione.
Gli elementi pericolosi si chiamano Pfc e sono composti poli- e per- fluorurati, appartenenti alla famiglia delle Pfas (definite da Wikipedia come “un acido molto forte ed altamente inquinante, utilizzato come ingredienti chiave per vari prodotti antimacchia e idrorepellenti”). L’esposizione ad alcuni Pfc può favorire la formazione di tumori al rene e ai testicoli, una possibilità decisamente spaventosa considerando che l’obiettivo è quello di prevenirli piuttosto che aggiungere nuove cause alla lista.
Greenpeace ha voluto denunciare la cosa attraverso un report sull’inquinamento. A quanto pare – si legge nel documento presentato ufficialmente a Vicenza – “la produzione di composti chimici pericolosi come i Pfc ha generato un inquinamento diffuso nell’ambiente, inclusa la contaminazione delle falde di acqua potabile: Ohio-West Virginia, Veneto, Olanda, Cina”.
L’Italia è quindi chiamata in causa in primissima persona. La richiesta di Greenpeace è chiara: le aziende di abbigliamento outdoor devono eliminare quelle sostanze dalle loro produzioni entro il 2020. “Alcuni marchi lo stanno già facendo, le alternative sono già disponibili sul mercato”, ha aggiunto poi Greenpeace. Nel frattempo, non resta che leggere questi dati piuttosto allarmanti: “Le concentrazioni in Veneto risultano fino a 20 e 1,9 volte più alte rispettivamente per il Pfoa e il Pfos, se confrontate con quelle riscontrate in popolazioni italiane non risposte alla contaminazione da Pfc”. Non si può far altro, quindi, che aspettare la risposta dei produttori.
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