Dalla ricerca di due scienziati italiani, Pietro Cottone e Valentina Sabino, svolta presso la Boston University, è emerso che il nostro cervello è dotato di un recettore che riesce a fermare la fame compulsiva e a frenare le abbuffate. Questa scoperta potrebbe aprire la strada a nuove cure per i disturbi alimentari.
Il binge eating disorder, ossia il disturbo da alimentazione incontrollata, è molto frequente sia negli obesi che nei pazienti che soffrono di bulimia. Chi ne è affetto, ingerisce rapidamente grosse quantità di cibo ed è quindi quasi sempre obeso o in forte sovrappeso. Tale disturbo può essere diagnosticato dal medico analizzando sia le condizioni fisiche del paziente che i suoi comportamenti nei confronti del cibo: se le abbuffate si verificano una o più volte a settimana per un periodo prolungato (almeno 3 mesi), se comportano l’ingestione compulsiva e indiscriminata di grandi quantità di cibo a prescindere dalla reale sensazione di fame e se il paziente, nonostante il desiderio di perdere peso seguendo un corretto regime alimentare, non riesce a interrompere questo circolo vizioso, allora ci si trova davanti a una persona affetta da binge eating disorder. La diagnosi è rafforzata dall’evidenza di sintomi depressivi: oltre al malessere fisico, il binge eating disorder può causare stress psicologico, sensi di colpa, disturbi dell’umore. A ciò si aggiunge un profondo senso di frustrazione, che nasce dal non riuscire a seguire una dieta e a perdere di peso.
Dalla ricerca di Pietro Cottone e Valentina Sabino, pubblicata sulla prestigiosa rivista “Neuropsychopharmacology”, è emerso che nel nostro cervello esiste un recettore (chiamato TAAR1) il quale, quando viene attivato, comanda all’organismo di non lasciarsi andare ad abbuffate. Questo recettore è poco attivo negli animali affetti da binge eating, come se fosse “addormentato”. I ricercatori hanno osservato che, somministrando agli animali una molecola chiamata RO5256390 (attualmente in sperimentazione) il freno “anti-abbuffata” si riattiva e gli animali smettono immediatamente di mangiare compulsivamente e di mostrare i comportamenti patologici precedentemente messi in atto, come la ricerca spasmodica di cibo spazzatura e l’iperattivazione in presenza di stimoli associati al cibo.
Questa scoperta tutta italiana apre nuovi potenziali scenari per la lotta alla bulimia e agli altri disturbi dell’alimentazione: un farmaco che riesca a premere il pulsante “stop” alle abbuffate restituirebbe la speranza di guarire a tante persone affette da disordini alimentari.
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