Il Congresso di Neuroscienze di Milano 2016 dà voce ad un importante progetto portato avanti dall’Università Bicocca di Milano: pet e una puntura lombare per scoprire e vincere l’Alzheimer.
Sul fronte della ricerca contro l’Alzheimer la scienza non si ferma mai. Le cure sperimentali non mancano eppure ancora non si è trovata una strada univoca e sicura per evitare che i 25 milioni di malati nel mondo affrontino quel calvario che li porta prima a spegnersi e poi a morire (LEGGI ANCHE: ALZHEIMER, NUOVA CURA: A PULIRE IL CERVELLO SARÀ UNA CAPSULA SOTTOCUTANEA). L’Università Bicocca di Milano è in prima linea e ha voluto proporre un nuovo protocollo per arrivare a diagnosi precoci che diano il tempo a medico e paziente per correre ai ripari ed evitare il peggio.
Si tratta di combinare adeguatamente pet (un’analisi approfondita che crea una tomografia a emissione di positroni) e puntura lombare, così da rilevare eventuali accumuli del beta-amiloide. Questa proteina aggredisce i neuroni e ne causa il decadimento sia a livello cerebrale che nel liquido cerebrospinale: constatare un quadro clinico del genere permette di individuare le persone a rischio demenza decenni prima che l’Alzheimer esploda. Se le funzioni cognitive sono ancora normali (oppure hanno subìto solamente un lieve deterioramento) ci saranno molte più chance di guarire.
È proprio a questo punto che assumono una valenza essenziale anche le cure sperimentali proposte dalla Bicocca: l’idea è quella di somministrare anticorpi e molecole in grado di ridurre la produzione del beta-amiloide e di far scomparire quello già presente nel malato. La somministrazione avviene sottocute o endovena: dopo essere penetrati nel cervello e aver rimosso la proteina, saranno in grado di tornare nel sangue affinché vengano smaltiti del tutto dal corpo. I dettagli sono oggetto del Congresso di Neuroscienze di Milano 2016 (NeuroMi) e le parole del direttore scientifico e presidente del congresso Carlo Ferrarese alimentano una fiamma sempre viva: “La nostra grande speranza è che nei prossimi anni la diagnosi di malattia di Alzheimer non sia una sentenza inesorabile ma la comunicazione di un possibile rischio a cui si può far fronte con nuove terapie, attualmente in fase di sperimentazione”.