Dopo 9 mesi in cui si porta il proprio bebè in grembo, una donna vorrebbe entrare in sala operatoria ed uscirne poco dopo con il piccolino in braccio. Purtroppo questa è una scena che si presenta solamente nei film visto che la realtà può riservare inconvenienti ben più gravi (il Citomegalovirus ne è un esempio comune). La preeclapsia, meglio conosciuta come gestosi, è tra le più gravi, eppure la scienza si sta muovendo per scoprirne le cause e le possibili cure. In merito alla gestosi, infatti, le novità sono particolarmente incoraggianti.
Una ricerca identifica in una particolare proteina – chiamata sFlt-1 – il principale responsabile: rimuovendo dal sangue quella proteina è possibile bloccare la complicazione prima che essa possa causare danni al bimbo o alla mamma. In tal modo la quantità di proteine espulse tramite le urine si riduce in modo consistente: così alla mamma sarà possibile prolungare la propria gravidanza ed evitare nascite premature finché il feto non sarà davvero pronto a venire fuori. La conclusione del parto, infatti, rappresenta finora l’unica terapia contro la gestosi.
Presto potrebbe non essere più così. Il dottor Ravi Thadhani, dell’ospedale del Massachussetts, ha guidato uno studio che promette di cambiare notevolmente l’attuale scenario. Il trattamento è stato sperimentato su 11 donne e in tutti i casi si è riusciti a migliorare la pressione sanguigna delle donne colpite da pre-eclapsia. Nessun bambino, una volta nato, ha evidenziato alcuna problematica o controindicazione. I risultati sono stati pubblicati sul Journal of the American Society of Nephrology e lo stesso Thadhani si è mostrato positivo in merito a questa sperimentazione, nonostante ci si trovi solamente ad una fase iniziale: “Il nostro studio suggerisce che possiamo prolungare la gravidanza in modo sicuro intervenendo sull’sFlt-1 nelle donne con forme di preeclapsia anche gravi. Ci auguriamo che le fasi successive della ricerca daranno lo stesso esito“. Come lui, lo sperano tutte quelle donne che ogni anno devono affrontare parti prematuri.
Foto: Facebook
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