“Non ci vogliono proprio far dormire!”. È questo ciò che avranno pensato tutte le persone che hanno letto una recentissima ricerca giapponese che inserisce la classica pennichella pomeridiana tra i fattori che possono causare il diabete di tipo 2. Riuniti a Stoccolma in occasione dell’annuale congresso dell’Easd, (Associazione Europea per lo Studio del Diabete), alcuni neurologi dell’Università di Tokyo hanno spiegato il legame che esiste tra il sonno diurno e il diabete.
Dormire di giorno non fa male di per sé: molti studi ne hanno sottolineato i benefici. Il problema sorge quando la pennichella è un riflesso della cattiva qualità o dell’insufficienza del sonno notturno. Questi disturbi sono spesso un campanello d’allarme che preannuncia apnee notturne o problemi cardiovascolari, ma ciò che ha preoccupato maggiormente è il glucosio prodotto dal corpo quando ci si sveglia. Come spiega il professor Giuseppe Didato, neurologo ed esperto di disturbi del sonno all’istituto Besta di Milano, “l’ipotesi è che si replichi il meccanismo che entra in funzione al risveglio del mattino: si attiva il sistema nervoso orto-simpatico, che regola anche la pressione arteriosa e innesca la produzione di cortisolo, ormone che modula l’attività del nostro corpo. Il cortisolo fa produrre più glucosio al fegato e lo libera nel sangue, quindi sonnellini ripetuti moltiplicherebbero l’innesco di questo meccanismo“.
L’unico modo per evitare che ciò avvenga è limitare la durata della pennichella, cercando di non superare mai i 30-40 minuti. In questo modo il sonno rimarrà ad un livello ‘superficiale’ e non comporterà alcuna produzione di cortisolo né stravolgimenti per l’organismo. Un’altra raccomandazione riguarda l’orario in cui dormire, che non deve mai arrivare al tardo pomeriggio. In quel caso infatti si rischierebbe di compromettere il sonno notturno, fondamentale per la maggior parte delle funzioni vitali dell’uomo. I neurologi sono stati chiari: una bella sveglia può salvare la vita.
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