La cataratta affligge decine di milioni di persone tanto che è indicata come la causa numero uno al mondo della cecità e finora l’unico modo è stato intervenire chirurgicamente. Nelle sue forme non congenite, questo disturbo è tipico dell’età avanzata e consiste nella progressiva perdita di trasparenza del cristallino, la lente naturale dell’occhio, costituito da proteine trasparenti chiamate alpha-cristalline e beta-cristalline. Con gli anni, queste proteine si ossidano, il cristallino si opacizza e la visione diviene offuscata fino a portare nei casi più gravi, alla cecità vera e propria. Dopo gli studi sull’alimentazione, in una recente ricerca pubblicata su Nature è stato presentato un innovativo trattamento che permette di ridurre in larga percentuale l’opacità della cataratta tramite l’applicazione di semplici gocce per gli occhi.
Questa soluzione, sperimentata finora solo su conigli e cani, è stata ideata da un team internazionale di ricercatori coordinato da Kang Zhang della Sichuan University di Chengdu (Cina) e messa a punto dal team di esperti dell’Università della California, che hanno analizzato il genoma dei membri di alcune famiglie colpite da cataratta congenita. Nel loro Dna è stato individuata una particolare variabile genetica, ovvero la mutazione del gene che codifica l’enzima lanosterolo sintasi, sostanza prodotta naturalmente dall’occhio in grado di dissolvere le strutture formate dalle proteine contenute nel cristallino (ovvero la cataratta stessa).
Ecco quindi l’idea di realizzare un collirio a base di lanosterolo. Dopo appena sei settimane di terapia, i test hanno dimostrato che l’opacità era notevolmente ridotta e che il disturbo, in generale, appariva in forma meno grave. La scoperta, secondo i ricercatori, potrebbe portare allo sviluppo di un nuovo farmaco che scongiurerebbe l’odiata sala chirurgica, anche se gli interventi di ultima generazione di rimozione e sostituzione del cristallino sono veloci e garantiscono una percentuale di riuscita senza controindicazioni molto alta. Gli autori dello studio promettono ulteriori accertamenti per far sì che entro i prossimi cinque anni il farmaco diventi realtà.
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