Cancro al polmone: un paziente su 5 è vivo a 3 anni. L’immunoterapia alternativa alla chemio

Si può sopravvivere a un tumore al polmone, la buona notizia arriva da Napoli che ha ospitato la prima Conferenza internazionale sull’immunoterapia e il cancro. L’Associazione italiana oncologia toracica (Aiot) ha pubblicato i risultati di uno studio internazionale che dà speranza ai chi è affetto da questa neoplasia: dopo tre anni il 20 per cento dei pazienti è ancora vivo a tre anni.

Un dato ancora più importante se si considera che la sopravvivenza riguarda anche i fumatori accaniti ( anche se la malattia colpisce anche i fumatori passivi), l’85 per cento dei casi compresi anche coloro i quali non hanno mutazioni genetiche. Sono risultati confrontanti quelli presentati a Napoli, per l’Aiot è il primo reale passo in avanti negli ultimi vent’anni di lotta a una delle neoplasie più difficili da sconfiggere. Per anni si è creduto che il tumore al polmone si trattasse solo con la chemioterapia, ma oggi grazie all’immunoterapia si ottengono ottimi risultati.

Il farmaco immunoterapico, nivolumab, può cambiare il modo di trattare questa neplasia. L’immunoterapia ha dato ottimi risultati anche a lungo termine. Il presidente di Aiot, il professor Cesare Gridelli, ha sottolineato che questa terapia sta dando ottimi risultati nelle varie forme di cancro ai polmoni. Ha evidenziato “risultati rilevanti sia nella forma metastatica non a piccole cellule squamosa che nell’adenocarcinoma, in particolare nei pazienti già trattati, cioè in seconda e terza linea“.

Solo nel nostro Paese, si sono registrate 40mila nuove diagnosi di tumore ai polmoni nello scorso anno, e nel 2011 questa forma ha causato 33.706 morti. I risultati della ricerca sono sorprendenti per l’ex presidente dell’Aiot, il professore Filippo de Marinis direttore della Divisione di Oncologia Toracica allo IEO di Milano, “innanzitutto perché può essere evitata la chemioterapia che in seconda e terza linea presenta molte criticità: questi malati storicamente sono considerati candidabili solo alle cure palliative. Oggi non è più così“.

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