Quante persone sono in perenne lotta con la bilancia e il sovrappeso? Tante. Quante persone provano a fare diete, le abbandonano, poi ci riprovano? Tantissime. Ma ecco giungere una novità che potrebbe presto tradursi in una vera e propria rivoluzione: una pillola che induce l’organismo a credere di aver mangiato, consumato una grande quantità di calorie, fatto un pasto sostanzioso. Anche se non è vero.
Il prodotto in questione, che ha quasi del magico, è stato creato da un gruppo di scienziati americani del Salk Institute Gene Expression ed è a base di fexaramina; i primi studi condotti sul modello animale hanno confermato la capacità di bloccare l’aumento di peso, abbassare il colesterolo e controllare la glicemia. “Questa pillola – afferma il dottor Evans, direttore del Gene Expression Laboratory di Salk e autore della ricerca, pubblicata su Nature Medicine – è come un pasto immaginario dal momento che è in grado di inviare gli stessi segnali che normalmente vengono emessi quando si mangia molto cibo“.
La fexaramina infatti attiva una proteina chiamata X farnesoide (FXR), un componente cellulare che svolge un ruolo fondamentale nel regolare il rilascio di acidi biliari (principale agente di demolizione del colesterolo) e nel processo di digestione relativo ai grassi e agli zuccheri presenti negli alimenti. E mica finisca qua. La FXR, infatti, agisce anche prima di ogni pasto stimolando la combustione dei depositi di grasso per lasciar spazio – diciamo così – ai nuovi alimenti che vengono ingeriti. In altre parole, oltre a inibire il senso di fame e favorire la digestione, la fexaramina è in grado di bloccare l’aumento di peso. Una bella differenza rispetto alle pillole dimagranti finora sviluppate, e a ciò si aggiunga che la fexaramina agisce solo una volta raggiunto l’intestino, impedendo al farmaco di entrare nel flusso sanguigno e quindi di percorrere tutto il corpo. Ciò significa che gli effetti collaterali vengono drasticamente limitati.
Quanto tempo passerà prima che la pillola venga messa in commercio? Ancora non c’è risposta: occorre prima eseguire ulteriori studi che accertino le effettive conseguenze sull’uomo.
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