Le diseguaglianze sociali influiscono anche sull’aspettativa di vita: infatti un operaio vive in media cinque anni in meno di un dirigente. Questi i risultati di uno studio intitolato “Libro bianco sulle diseguaglianze in salute” presentato a Roma durante il convegno dell’Istituto nazionale per la promozione della salute delle popolazioni migranti e delle malattie della povertà (Inmp).
CON IL TE ROSSO SI PERDONO I CHILI IN PIU’: ISTRUZIONI PER L’USO
Meno si è istruiti più si rischia di morire: il rischio di mortalità cresce del 16% per un diplomato, sale al 46% per chi ha la licenza media, mentre si impenna al 78% per chi ha la sola licenza di scuola elementare. Il rischio riguarda sia la probabilità di contrarre una malattia sia la durata della stessa: sono infatti le minori possibilità di curarsi in strutture di alto livello, la scarsa rete di conoscenze e la mancanza di beni materiali a favorire le malattie e provocare, in alcuni casi, il decesso. Senza queste disuguaglianze si ridurrebbero del 25% le morti tra gli uomini e di oltre il 10% quelle tra le donne.
In Italia, la mortalità è maggiore tra gli operai del Sud. In Europa, invece, la diseguaglianza in termini di salute è più evidente nella zona dell’Est. Ridurre la differenza tra classi sociali anche dal punto di vita della salute produrrebbe un minor costo per la sanità, con indubbi vantaggi dal punto di vista economico, mentre ora le spese in più si aggirano attorno al 10% del Pil. La soluzione sarebbe quindi intervenire dal punto di vista dell’economia e della salute ma anche per ridurre le diseguaglianze sociali, in modo da garantire benefici in ampi settori della vita di chi ha meno possibilità economiche.
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