I farmaci generici funzionano davvero? Questa è una domanda che molti si fanno e a cui il Corriere della Sera cercherà di rispondere nel corso di un convegno che si terrà questo pomeriggio a Milano. In Italia sono ancora poco utilizzati, anche se iniziano ad essere più diffusi: circa il 14,9% dei farmaci venduti nell’ultimo anno era un generico, mentre negli altri Paesi europei ci si attesta su percentuali del 50%.
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Perché tutta questa diffidenza? Per prima cosa il problema sta nel nome, che crea un equivoco e fa pensare ad una medicina che può andare bene per svariati sintomi, senza essere specifica per una determinata patologia. Sarebbe quindi più adatto chiamarli equivalenti, perché questo sono: medicine uguali al 100% al farmaco di “marca”. I farmaci generici costano almeno il 20% in meno degli altri e sono solitamente farmaci a largo consumo come gli antiacidi, anti-colesterolo, antipertensivi, e farmaci attivi sul sistema nervoso centrale come ansiolitici e antipsicotici.
Oltre ad un risparmio per il consumatore queste medicine garantiscono una minore spesa per il sistema sanitario nazionale: “I risparmi sui generici ci potrebbero permettere di avere a disposizione farmaci innovativi, molto costosi, per la cura dei tumori per esempio, o delle epatiti“, ha detto Silvio Garattini, direttore dell’Istituto Farmacologico Mario Negri di Milano. Meno spesa per la sanità e più soldi investiti nella ricerca. Altro problema oltre la diffidenza del consumatore, è la pubblicità, che fa sì che le persone si rivolgano al farmacista chiamando la medicina con il suo nome commerciale e non chiedendo il principio attivo. Il sistema sanitario non ha i mezzi per promuovere i farmaci generici e quindi entra il gioco il farmacista che dovrebbe sempre presentare l’alternativa generica e spiegare la sua totale efficacia e l’aderenza al principio attivo.
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