Chi ha lavorato per anni svolgendo turni di notte o comunque lavorando in orari anomali presenta un cervello invecchiato di 6 anni. Questi i risultati di una ricerca franco-gallese pubblicata sulla rivista Occupational and environmental medicine che ha preso in esame 3000 persone sottoponendole a test di memoria; i risultati hanno evidenziato che chi per più di dieci anni ha lavorato su turni notturni ha la capacità mentale di un individuo più vecchio di sei anni.
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Questo perchè il ritmo sonno/veglia viene modificato, provocando danni però riversibili. Infatti, se si smette di lavorare di notte, le capacità cognitive tornano ad essere quelle di una persone della propria età, benchè ci vogliano almeno 5 anni per rigenerare il cervello. Altri studi hanno indagato il pericolo dei turni sulla salute; una ricerca canadese del 2012, condotta su 2 milioni di persone, aveva evidenziato che chi lavoro su turni ha il 23% di probabilità in più di avere un infarto e un 5% per cento in più di avere un ictus rispetto ai lavoratori normali.
Nel 2007, l’Agency for research on cancer aveva indicato i turni come possibili responsabili di alcuni tipi di tumore. Philip Tucker, ricercatore gallese, ha detto che: “Si tratta di un sostanziale declino nella funzione del cervello. Dunque è probabile che quando le persone cercano di svolgere compiti cognitivi complessi, possono fare più errori“. Ma come fare per diminuire i danni dei turni notturni? per prima cosa ci vorrebbe una maggiore attenzione da parte delle aziende, che dovrebbero sottoporre i lavoratori a test cognitivi periodici per constatare l’invecchiamento del cervello e in più si dovrebbe poter garantire turni di lavoro meno massacranti e più adatti alle esigenze dei singoli.
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