Alessandro Gennai: “Le staminali per un lifting meno invasivo e più naturale” [ESCLUSIVA]

Tra le tecniche più all’avanguardia per la rigenerazione dei tessuti c’è l’uso delle cellule staminali, impiegate in chirurgia estetica soprattutto per il ringiovanimento del volto.

Per fare il punto sulle novità e capire meglio i vantaggi di questo tipo di intervento, meno invasivo rispetto al tradizionale lifting e che garantisce risultati molto più naturali, abbiamo intervistato il professor Alessandro Gennai, chirurgo plastico ed estetico, professore di tecniche non invasive presso l’Università di Camerino, autore di numerose pubblicazioni scientifiche e membro di AICPE (Associazione Italiana Chirurgia Plastica ed Estetica) ed EAFPS (European Academy of Facial Plastic Surgery).

Professor Gennai, ci spiega innanzitutto cosa sono le cellule staminali? 
Nel tessuto adiposo vi sono più cellule staminali mesenchimali rispetto al midollo osseo; queste cellule sono cellule “baby”, che crescendo possono trasformarsi in cellule epiteliali (pelle), cellule adipose (grasso), cellule endoteliali (vasi sanguigni), condrociti (cartilagine), osteociti (osso), miotici (muscolo) e anche cellule nervose.

Quindi ci sta dicendo che sono cellule che potenzialmente possono riparare qualsiasi tessuto?
 
Esattamente. Infatti tali cellule si dicono “multipotenti”, proprio perché hanno la possibilità di differenziarsi in molte cellule diverse; questo fa sì che ovviamente l’interesse per le cellule mesenchimali di origine adiposa non sia solo nel campo della chirurgia plastica ma in tantissimi altri campi come l’ortopedia, la cardiologia, la neurologia ecc.

Ci risulta che Lei ed il Suo gruppo avete standardizzato una tecnica particolare per utilizzare le staminali nel campo della chirurgia estetica. 
Con il mio gruppo abbiamo cominciato a studiare l’utilizzo delle staminali nel campo della rigenerazione già dal 2012: abbiamo messo a punto una tecnica semplice, sicura, efficace e di lunga durata che permette di sfruttare sia l’azione volumizzante del tessuto adiposo e soprattutto l’azione rigenerante delle cellule staminali. Questa tecnica, chiamata SEFFI (Superficial Enhanced Fluid Fat Injection), consente di ottenere la rigenerazione dei tessuti del volto e ripristino dei volumi e ha riscosso un interesse internazionale, tanto che nel 2015 abbiamo avuto l’opportunità e l’onore di pubblicarla su due delle più prestigiose riviste internazionali nel campo della chirurgia estetica ovvero Aesthetic Surgery Journal e JAMA Facial Plastic Surgery.

gennai1

Lei dà molta importanza alla rigenerazione dei tessuti nella tecnica di ringiovanimento del volto.
 
Proprio così. Negli ultimi 30 anni, la chirurgia del ringiovanimento del volto è stato il classico “lifting” che mira a scollare e tirare la pelle: le pazienti sottoposte a questa procedura hanno un “effetto tirato” ma non un effetto di “più giovane”. A tale proposito, è stato interessante un sondaggio eseguito su 100 pazienti confrontando la loro foto di quando avevano 20 anni e ora a 50 anni: ebbene, tale sondaggio ha dimostrato che la prima causa di invecchiamento del volto è la perdita di volumi, la seconda l’invecchiamento dei tessuti e solo per ultima la discesa dei tessuti. Inoltre nella mia casistica di quasi 500 interventi di ringiovanimento del volto l’età media è 45-50 anni. Alla luce di queste considerazioni, io ritengo che per ringiovanire realmente un viso di una paziente di 45-50 anni sia necessario prima ripristinare i volumi persi, quindi rigenerare i tessuti ed infine riposizionare (non tirare) i tessuti. Ecco perché ho voluto chiamare la mia tecnica di ringiovanimento del volto, pubblicata nel 2016 su Aesthetic Medicine Journal.

Può spiegarci come vengono risollevati i tessuti del volto?
Io non amo tagliare e tirare la pelle, e voglio riposizionare i tessuti profondi: attraverso piccole incisioni invisibili nel cuoio capelluto, dalle quali introduco una telecamera di 4mm e sottili strumenti, riesco in totale sicurezza a liberare i tessuti profondi e a riposizionarli, senza la necessità di tirare la pelle ed evitando lunghe cicatrici. I tessuti vengono poi fissati attraverso particolari punti di sutura.

Alla luce di quanto ci ha detto e delle Sue pubblicazioni, possiamo affermare che l’Italia stia giocando un ruolo fondamentale in questo campo di ricerca? 
Assolutamente sì; questo è confermato dalla pubblicazione su riviste internazionali e dal grande interesse nelle nostre tecniche, dimostrato nei congressi internazionali ai quali partecipo.

Photo credits: ufficio stampa

Impostazioni privacy