Giornata mondiale contro l’Aids, poca informazione. Ecco i falsi miti

Oggi primo dicembre, si celebra in tutto il mondo la Giornata mondiale contro l’Aids, istituita nel 1987 dall’UnAids, l’agenzia della Nazioni Unite che si occupa di questa malattia. L’obiettivo è di sconfiggere il virus entro il 2030 e di colmare il divario tra Paesi ricchi e poveri secondo il programma “close the gap” che prevede entro il 2020 la diagnosi del 90% dei casi di Aids e l’abbattimento della carica virale dell’hiv nel 90% delle persone che assumono antiretrovirali.


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Circa metà di tutte le persone che nel mondo vivono con l’Hiv non sanno ancora di avere il virus. Serve uno sforzo comune per offrire il test alla popolazione più ampia possibile, e un focus sulle cosiddette “popolazioni chiave”, omosessuali, lavoratori del sesso, tossicodipendenti“, dice Gottfried Hirnschall, che dirige il dipartimento Hiv dell’Oms. In Italia la causa primaria di infezioni rimangono i rapporti sessuali non protetti, che rappresentano più dell’80% delle infezioni; il virus colpisce soprattutto persone tra i 25 e i 29 anni. Ancora molti sono i miti da sfatare riguardanti l’Aids e la sua trasmissione: per esempio è credenza comune che due persone infette possano fare sesso tra loro senza precauzioni. Questa cose è fortemente sbagliata perché esistono differenti ceppi di virus e il rischio è di re-infettarsi, dovendo poi cambiare cura. Ancora molti sono i pregiudizi verso le persone sieropositive: il virus non si prende con una stretta di mano, con un bacio o con la vicinanza con una persona infetta.

Se una persona risulta non infetta dopo il test  bisogna comunque fare sesso  protetto, perché esiste una finestra temporale di tre settimane in cui gli anticorpi diventano talmente numerosi da poter essere individuati; in tutti i casi il test andrebbe ripetuto ogni tre mesi. L’hiv non si può trasmettere con un morso di zanzara o di un altro animale. Infine è bene sfatare il pregiudizio che vuole le donne sieropositive come future mamme di un bambino sieropositivo: in realtà se la futura mamma prende farmaci antiretrovirali, la probabilità di trasmettere il virus al feto è solo del 2%. Discorso diverso per l’allattamento: se la madre non si cura il bimbo può prendere il virus nel 25% dei casi.

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